giovedì 6 marzo 2014

Rubrica: Storie di famiglia - Vera correva veloce.

Vera correva veloce. Stringeva il pacchetto ancora caldo. Non poteva permettersi d'essere fermata. Muoveva le gambe una dopo l'altra rischiando di far inciampare i piedi sui piedi. I tacchi quel giorno non erano stati una buona idea, ma ogni tanto aveva bisogno di sentirsi più alta, più bella, ancora donna. La guerra le aveva tolto tutto. Ora vivevano in quindici in due stanze, si lavavano in mare e mangiavano le patate con la buccia. La notte i sogni erano interrotti dalle sirene e la morte era sempre nell'aria. Si sudava. L'estate era arrivata calda e bella, nonostante gli aerei lasciassero scie in cielo e nessuno affollasse le spiagge. L'estate era lì, esplosa. A portata di pelle.
La infastidiva notare come molte cose nella loro sostanza fossero rimaste le stesse. Erano solo scalfite. La guerra era qualcosa di provvisorio e al contempo definitivo. L'idea che niente sarebbe stato più lo stesso e che nulla sarebbe cambiato la disorientava. Probabilmente il conflitto accelerava i processi, li rendeva più evidenti, segnava le tacche come un orologio troppo rumoroso. 

Quando donna Polona le aveva messo il saccoccio tra le mani, l'aveva sentita respirare a fondo, come se avesse fatto il primo respiro dopo mesi.
Donna Polona amava Pave con tutta se stessa, s'erano scelti: lei altissima, le spalle larghe e la gonna nera fino alle caviglie; lui calvo, con gli occhi blu e le mani da pianista. Avevano comprato una casetta in pietra vicino al porto e da subito provato ad avere un erede. Poi Pave fu mandato sulla torretta e lì ucciso. Donna Polona aveva passato un mese intero al buio, accovacciata sul letto, con la faccia schiacciata sul cuscino di Pave. Trenta giorni lunghissimi in cui il dolore aveva nutrito la rabbia e la rabbia creato pensieri assassini. Donna Polona voleva vendetta, solo dopo quella avrebbe ricominciato a vivere. Così aveva detto. E anche Tata Lenka voleva vendicare il figlio e tutti rivolevano Pave. 

Vera correva veloce. Stringeva il pacchetto ancora caldo. Pensava a Pave, suo fratello.
Erano passati sei mesi da quando lo avevano seppellito. Gli avevano messo un completo marrone scuro, più corto di dieci centimetri e sistemato i baffi con la brillantina. A Vera quei baffi facevano ridere. Ricordava e rideva. La prima volta che Pave aveva provato a farseli crescere era stato per la recita di quinta elementare. Doveva fare Zorro. Aveva rubato la lametta di suo padre e si era tagliato tutto. Pave non aveva mai rinunciato ai suoi baffi e se li era portati nella bara. 

- E' morto.
- Lo so.
- Capisco.
- Ho visto chi l'ha ucciso.

Donna Polona aveva baciato il ragazzo delle consegne e poi era andata a piangere, sola. Aveva affilato un coltello e s'era truccata gli occhi scuri con una matita scura.  Se l'era presa comoda: quarantotto ore intere, sempre sveglia. Poi aveva chiamato Vera.
Le aveva dato il pacchetto e ora Vera correva veloce.
Tata Lenka l'aspettava sulla soglia, gli zii contavano i rintocchi della campana e il cane era sdraiato sullo zerbino.
La vendetta aveva unito tutti, calda, sanguigna, rigorosa.
Avrebbero bevuto alla salute di Pave. Mezzo bicchiere di vino a testa, le loro scorte.

- Per te fratello.
Disse ad alta voce Vera appoggiando il cartoccio sul tavolo. Era umido e la carta da pacco s'era colorata di rosso.
- Prosit
In tredici alzarono i calici
- E' bello grande.
Concluse Tata Lenka stringendo il cuore del nemico tra le mani.




Racconto liberamente ispirato a una storia di famiglia. I nomi sono di fantasia.

di Manuela Paric'

foto di Francesca Woodman

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