sabato 29 marzo 2014

Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 20

Titolo di cronaca: "A 70 anni deruba ultraottantenne."

Questo il mini racconto ispirato: La pera.

Vincenzo era lento. Picconava l'asfalto con il suo bastone e si lasciava alle spalle minuti di vita preziosa. Era vecchio, molto vecchio. Aveva ottantanove anni, undici mesi, ventinove giorni e una manciata di ore. Ogni mattina indossava un  paio di pantaloni gessati, scarpe lucide e la cravatta; si impomatava i quattro peli bianchi che gli erano rimasti in testa e affrontava i tre chilometri di strada che separavano casa sua dal mercato ortofrutticolo. Contava puntiglioso ogni moneta conservata con cura nel portafoglio e si soffermava qualche istante a ripensare ai tempi andati. Vedeva il mondo cambiare velocemente, lui avvizzire e il cemento arrivare ovunque, anche sulla luna. Per Vincenzo non era facile ricostruirsi giorno per giorno, adattarsi al suo breve futuro e camminare. Però, Vincenzo non mollava. Era un uomo semplice e a quello si aggrappava: il tè caldo e la macedonia di frutta fresca. Cose che lo mantenevano sano e saldo. Non sarebbe morto rintanato sotto un piumone e avrebbe lottato prima di farsi accudire da qualche badante latina dai seni grossi e dalla risata sconfortante. Le insidie della città moderna gli facevano un baffo, le affrontava disinvolto, rughe alla mano ed espressione svanita per partire al contrattacco. I giovinastri, così gli piaceva additare i liceali o i ragazzetti agghindati stranamente, gli stavano alla larga, turbati dal suo "vecchiore". I malintenzionati invece si accorgevano subito dei pochi spiccioli che avrebbe fruttato e procedevano lesti verso più ghiotti bottini. Al mercato s'era anche fatto qualche amico. La signora Maria lo salutava con un bacio sottile e Babatunde, il berbero delle cassette, gli teneva da parte qualche primizia. Tutto sommato aveva ancora di che essere felice. Quel giovedì l'inverno gli era entrato nelle ossa e la brina aveva lastricato ogni via. Si sarebbe cucinato una grossa pera cotta, con tanto zucchero e cannella. Uno sfizio. Babatunde gli aveva assicurato che sarebbe arrivata una partita di pregiatissime Abate Fetel, provenienti da un minuscolo consorzio nella Valle del Giovenco e aveva promesso di conservargliene una, la più bella. Vincenzo se la pregustava, dolcissima. Una piccola gioia, perfetta per scaldargli l'anima. Nel capannone c'era un gran fermento, ogni bancarella era presa d'assalto e camion di diverse dimensioni si accostavano agli ingressi vomitando bancali su bancali di merce. Invadente e malfermo l'anziano si intrufolava tra la gente, chiedendo scusa e borbottando dei suoi malori. Con una certa decisione riuscì a raggiungere Babatunde. Questo stava discutendo con un ometto incartapecorito e brandiva una pera rugginosa come fosse uno stiletto. "La MIA pera", pensò subito turbato Vincenzo. Senza indugiare oltre l'afferrò, salutò l'amico e voltò le spalle all'omuncolo rissoso. Era soddisfatto, talmente soddisfatto da raddrizzare la schiena e incedere a grandi improbabili falcate. S'era alzato anche il vento e il viottolo che attraversava il parco era diventato un assassino pericoloso. Il sacchettino con dentro la frutta gli urtava il fianco e la gamba gli faceva sempre più male."Peccato non poter correre", sussurrava dominando l'affanno.
- Ridammela! 
Il vecchiaccio del mercato lo aveva pedinato, era facile seguire Vincenzo anche per un vegliardo con il deambulatore.
- Ridammela! Maleducato. Pezzente. 
Urlava trasfigurato dalla fame e dalla gola, si appoggiava al ferro del trasportino e stringeva i pugni fino a far diventare le nocche bianche.
- Incivile arrogante zoticone! Ridammela!
Seguitava.
Vincenzo dapprima paralizzatosi dalla paura, sentì crescere tra le membra stanche l'ardore del soldato. Si inguainò in un'uniforme di speranza e coraggio e affrontò il rivale.
- Era già mia. È mia e me la mangio io.
Si batteva la mano aperta sul petto e affilava lo sguardo di secondo in secondo.
L'altro avanzava. 
Erano naso contro naso. Alito acido contro alito fumoso. Bastone contro deambulatore. 
In silenzio.
Tra loro la pera Abate oscillava nella plastica.
- La vuoi fare cotta?
Chiese disgustato il veterano basso.
- Anche se fosse?
Sbavò Vincenzo.
- È mia.
- Mai!
I due vecchietti iniziarono a strattonarsi e parti di loro scivolarono, saettarono e caddero sul terreno ghiacciato. I pochi capelli di Vincenzo puntavano scomposti verso il cielo e gli occhialini del suo sfidante gli erano finiti sotto il sedere. 
Forse, forse stava vincendo.
La lingua lunga e bianchiccia dell'omino si strofinava sul suo braccio e dei denti in ceramica tentavano di ferirlo. 
Forse, forse avrebbe potuto stordirlo con una pietra. 
Allungò il braccio sinistro. 
Un enorme sforzo. 
Strinse la pietra, tenace. 
Chiamò a raccolta ogni suo muscolo.
Pronto.
Un lampo, uno squarcio, un dolore lancinante gli spaccò il torace.
I nuvoloni neri si fermarono, i suoni anche e lo spirito prima concitato cessò di esserlo. Vincenzo si sentiva svanire, debolissimo. Il cuore gli era diventato pesante e il freddo lo stava ghermendo come le unghie di una strega malvagia.
"Morirò"
Non era pronto. 
- Le pillole...nel panciotto...pillole...
Biascicava all'orecchio del nemico.
- Te la chiamo io l'ambulanza, tranquillo. 
Disse questo raccogliendo la bustina con la pera e ficcandogli in bocca una pasticca per il cuore.
- Mi vendicherò...
Fece in tempo a rispondere Vincenzo, vibrando un ultimo colpo in aria prima di svenire.


di Manuela Paric'
Foto di Emiliano Zanichelli

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