martedì 4 febbraio 2014

L'Altro di Vera Q.

E' nato. L'ultima immane fatica di Vera Q. ha preso vita. Io ho assistito alla fecondazione, alla gestazione e al parto. E' un bel libro ed è accompagnato da una mia breve, brevissima introduzione.
Eccola per voi! A seguire parte del primo capitolo del romanzo.

Introduzione
(di Manuela Paric')
«Salve, signore. Dove vuole che glielo metta il suo mezzo chilo di cuore?» «Sul davanti. Ovvio.» A questo punto c'è da chiedersi di chi sia quel cuore, se il davanti sia un nuovo petto e se il macellaio sia una persona perbene. Potrebbe anche essere una semplice conversazione catturata in un giorno di mercato. Potrebbe. Ciò di cui siamo certi è la presenza di un organo grondante di sangue di cui discutere. Vera Q. fa tutto questo. Incarta le parole nella velina unta del pizzicagnolo, te le porge con un sorriso e ti ruba il resto. Anche il protagonista della sua storia si trova a dover fare i conti con il proprio pacchetto. Ben confezionato, sia chiaro. S'affretta a scartarlo e vi trova dentro qualcosa da bollire a lungo in pentola, qualcosa di morbido, carezzevole, qualcosa di vischioso e personale: tutto il suo mondo. Un mondo divorato, masticato e digerito: puro cannibalismo dell'anima. In un gioco al ribasso affiora, pagina dopo pagina, una folle e violenta fame che non ha nulla a che fare con i bisogni goderecci di un uomo grasso. Buon appetito.
1. La fine
Il piccolo isolotto roccioso emerge lugubre dall'acqua immota, mentre il riflesso degli speroni di pietra affoga in un quieto mare scuro. La Vita, qui, è ignorata dai colori. In questa landa desolata regna soltanto il silenzio. Lo sguardo di chi osserva è catturato dal fitto bosco di cipressi che, posti al centro del quadro, dominano la scena dipanandosi in un frastagliato neo bruno, nero come una macchia d'inchiostro: la risultanza delle fatiche di un ragazzino maldestro alle prese con un vecchio calamaio. Si scorge, sulla sinistra della tela, una risibile barca a remi, sulla quale una figura indistinta, luccicante e totalmente bianca accompagna una bara nell'ultimo viaggio. Mia moglie Claudia, seduta, incollata e saldata al divano, e suo malgrado proprio sotto alla fedele riproduzione de "L'isola dei morti", dondola ossessivamente tenendo strette a sé le due gemelle. La bocca, la sua, riarsa dalla sete, si spalanca di quando in quando per pigolare qualche frase sconnessa, mirata a placare il fuoco che divampa nel mio animo. Ma quando sanguini a lungo, il dolore ed il dubbio mutano in odio corrodendoti le viscere, ed è in quel preciso istante che sai di poter cambiare il mondo. Questa è la lezione che ho imparato. E lei, Claudia, è stata una vera maestra. «Manuel, io ti amo, ragiona! Slegaci, fallo per le bambine!» Sposto lo sguardo sulle piccole, pigro. Due involtini rosa avviluppati da spago. Selene e Selina, di sette anni, quattro mesi e otto giorni. Selene e Selina, una coppia identica di femmine in miniatura. Selene e Selina, uguali in tutto e per tutto: aspetto, abiti e carattere. Indistinguibili. Mi osservano entrambe da dietro le lacrime, giudicandomi.
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