giovedì 4 luglio 2013

Io sono morto - Vera Q.

Oggi voglio presentarvi il nuovo libro di Vera Q.. E' un'opera alla quale sono particolarmente affezionata, me la sento un pochino mia: l'ho vista nascere capitolo dopo capitolo e ho esultato insieme all'autrice quando ha messo l'ultimo punto.

Vi lascio perciò con la mia prefazione "nonsense" e l'incipit di IO SONO MORTO.

Buona lettura.

Prefazione:

Si muore.

Si muore sempre, inesorabilmente e spesso malamente.
Non è un gran mistero. O meglio, lo è ma non del genere che si può svelare. O meglio, può farlo Vera Q. 
Immaginate un teatrino di provincia.

Immaginate una musica triste e un vecchio addormentato in platea. 
Immaginate che sul palco vi sia un salottino pieno di arazzi e polvere e lì, proprio lì, sotto arrugginiti riflettori incandescenti, la vostra bara.
Voi dentro, incravattati, impomatati, pallidi.
Non è bello, lo so, ma... provate, provate a immaginarvi.
State comodi? Non troppo, già.
La morte, a quanto pare, è una questione scomoda e per l'uomo, per come è fatto, per ciò che brama, non c'è morte che tenga: non si fa in tempo a piangere il proprio defunto che lo si rintraccia - ognuno al suo posto - sgambettante tra le nuvole o arso nell'eterno fuoco della perdizione!
Che gioia.
Vivo, ancora.
Ustionato forse, rimbambito a volte, ma vivo.
Quasi.
I più caustici diventano concime, si fanno mangiare dai cavalli e danno al corpo l’ultimo giusto peso.
Altri si perdon tra le stelle.
Fumosi.
Belle le stelle, la notte di San Lorenzo, quando ogni desiderio sembra realizzabile e quel cielo nero smette di far spavento. 
Invece... si muore.
Si muore sempre.
Rigidi, putrefatti o polverizzati: se tutto procede secondo i piani!
Non sempre, infatti, le cose accadono come le sogniamo. Ci si potrebbe ritrovare smembrati in una doccia, spugnosi nel profondo del mare o, peggio ancora, imbalsamati in un museo alla mercé di turisti curiosi.
Che scempio!
Il destino che Vera Q. ha riservato ai suoi protagonisti è peggiore.
Se, come diceva il filosofo, la verità è una costruzione mentale, allora il dolore, l'oblio e ogni genere di aberrazione sono il prodotto delle nostre paure: l'arte del contrappasso.
Benvenuti.

di Manuela Paric'


Estratto (incipit)

1. Risveglio

C’è una finestra, una soltanto.
Piccola, rettangolare e posizionata a bordo del soffitto.
Il chiarore in questa stanza non è il benvenuto ed è per questo che è stato confinato, con convinzione, dietro una spessa vetrata opaca.
Le squallide pareti della camera, così come il pavimento in marmo, rifrangono le gelide luci affettate dei neon: un luccichio impersonale, imperturbabile, al quale nessuno s’affeziona.
Alcune sedie, disseminate senza criterio, s’alternano a vasi di acciaio che rigurgitano fiori, e sul lato sinistro del locale, inamovibile, una panca di formica sorregge quattro persone.
Mia moglie Barbara e mia figlia Giada ne occupano lo spazio centrale; Luca, mio fratello, e mia madre Carla sono invece schierati agli antipodi.
La mia dolce metà mi fissa con gli occhi sgranati: imbambolata, attonita e, sopra ogni cosa, incredula. La mia piccina è saldamente avvinghiata alla nonna che le carezza il capo con fare amorevole. Ed infine Luca, accanto a Barbara, punta con testardaggine l’uscio spalancato sul corridoio.
Io, al contrario, sono l’anima della festa e domino il miserevole ambiente torreggiando al centro del vano.
E no, quando mi riferisco all’anima, non mi esprimo per metafore.
Io sono quello ubicato nella branda di legno.
Io sono quello giacente.
Insomma, per farla breve, io sono quello morto.

Di Vera Q.

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