venerdì 31 maggio 2013

Altri racconti di altri: Il vicino sul treno #8 di Paolo Marcotti

#8
Jennifer sale sul treno tutte le sere, alla stazione di P. Nei giorni in cui torno a casa tardi è una presenza fissa e puntuale. Non rassicurante, anzi, vagamente sinistra.
È impossibile non notarla. La sua vistosissima chioma vigorosa e indisciplinata la precede, la distingue, la segnala, e l’effetto è perfino più efficace di quello delle aureole luminose sulle statue di Padre Pio o della Madonna. Jennifer è magrolina e non ha il fisico per portare a spasso un simile rigoglìo della natura, nemmeno per dissimularlo un po’, ma non è solo una questione di esilità. La chioma la domina, la schiaccia, prende il sopravvento e il resto sono briciole sul marciapiede del binario. È sul punto di soccombere ma non si dà per vinta: a volte arriva coi capelli lisciati, da una forza evidentemente non terrena. Lo sforzo però è vano, e l’effetto grottesco, quasi patetico.
Ma Jennifer non conosce arrendevolezze e deve mostrarsi, e dimostrarsi, di avere altre frecce capaci di andare a segno, quante ne vuole. Spesso tenta la metamorfosi, una surreale trasformazione in una sorta di essere a metà tra una cerbiatta e Heidi con un trucco molto, troppo pesante. Ma non è una festa in maschera e l’accoglienza del popolo pendolare del binario 2 è antartica.
L’arma migliore di Jennifer però è il guardaroba. Soluzioni tessili inedite, abbinamenti arditi, abitini così originali da far venire l’idea che sia lei stessa a pensarli e realizzarli. Spesso sono sorprendentemente corti e li indossa anche se fa freddo. Lasciano in mostra due gambe ancora da bambina e chi guarda lo fa con curiosità perplessa e asessuata.
Ma non importa, a Jennifer l’attenzione maschile non interessa. Sta in disparte con fare pudico e privatissimo, non propone né ispira desiderio. Non è lì per quello. Si direbbe che stia piuttosto perseguendo un suo obiettivo, una sua coerenza.
È sempre tremendamente occupata con il suo smart phone ultimo modello. Parla e chatta con le amiche con un po’ di supponenza, e il suo divertimento è misurato e annoiato. Ascolta in cuffia con esagerato entusiasmo musica finto-indipendente che le ha passato un amico che lavora in una radio locale. Un solidissimo muro marca il confine tra lei e il mondo degli altri pendolari, che agli occhi del suo granitico isolamento non hanno alcun valore e nessuna possibilità di trasmetterle quel calore che lei non cerca più, certo non adesso, certo non qui.
Jennifer fa l’estetista in una cittadina di provincia incomparabilmente stretta rispetto alle sue robuste ambizioni maturate sulle riviste di moda, per la sua educazione militarmente impostata sul rigore di Vogue. Jennifer sogna ad occhi non sempre aperti Milano, le sfilate, gli aperitivi, i locali con certa gente che ha in mente lei. Lì sì che sarebbe finalmente dove merita, come merita. Con le amiche ne parla spesso, quasi sicura di non essere compresa, e scarta, senza capacitarsi del loro osare, intimiditi pretendenti di paese, sempre meno numerosi.
Jennifer un giorno non molto lontano si licenzierà con impaziente e inadeguato orgoglio e andrà a Milano, a far capire e vedere a tutti chi è e quel che sa, a bussare a certe porte, non tutte, non è una disperata qualsiasi, solo quelle giuste. Questo pensiero è per lei pane quotidiano, armonia perfetta, fede incrollabile, fiero appetito, gustosa lussuria. Non le serve altro e le banalità di questa vita nel frattempo sono solo un incidente di percorso, una fastidiosa scocciatura.
Ma anche Milano attende Jennifer con gusto. L’ha sentita annunciarsi col suo profumo rivelazione dell’ultima stagione. La divorerà in un solo boccone e la digerirà con un piccolo singhiozzo. Per un bel rutto, ci vuole ben altro.

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