giovedì 2 maggio 2013

Altri racconti di altri: Il vicino sul treno #5 di Paolo Marcotti


#5
Maledizione. Di nuovo lei. Di nuovo quella voce metallica, fastidiosa, quel tono insopportabile che buca l’aria.
Stai zitta! Sei pendolare anche tu, no? Non lo sai che vogliamo leggere, dormire, pensare ai fatti nostri in tranquillità, creare del salubre vuoto dentro la testa? Cos’hai di così indispensabile da dire, da trasmettere con tutto questo fervore? 
La signora Silvana, o come diavolo si chiama, pare una di quelle megere dei cartoni animati, quelle vecchie cattive che impressionano i bambini, anche se vecchia non è. 
Chioma di capelli biondo-bianchi che, più che la conseguenza di una piega, è il risultato di una zuffa tra gatti. La bocca è spiacevolmente rientrante rispetto al profilo, come quando la nonna si leva la dentiera per andare a dormire. Magra come un chiodo, evoca sensazioni di ghiaccio e rigidità. E, naturalmente, gracchia come una cornacchia isterica, sovrastando qualsiasi altra cosa nel vagone. 
Taci! Cazzo! 
Quando scende, si avvia veloce, con un passo sovrannaturale, ad alta frequenza, quasi robotico ma comunque fluente. Sotto la gonna, di taglio e lunghezza ultra classici, lavorano due gambe tornite nel legno da uno scultore di montagna. Sale le scale con decisione caprina. I polpacci, definitissimi, divorano i gradini, famelici. 
Quando, seduta nel suo sedile con un portamento che lo fa sembrare un trono di marmo, inforca gli occhiali, l’immagine è chiara, limpida nel suo riproporre un passato che ancora scotta. È quella professoressa di greco e latino, algidissima e severissima, che scorre con l’indice l’elenco dei nomi sul registro. Gocce fredde popolano le fronti e scivolano sulle schiene. E oggi, certo, interrogherà proprio te, proprio te che non sei preparato, ammesso che si possa mai risultare preparati al suo cospetto. 
Il quattro è garantito. Sarai rimandato a settembre, l’estate è rovinata, con tutti i suoi progetti e i suoi sogni. Dovrai penare su quel maledetto aoristo, oppresso dal caldo, dal sudore, dai rimpianti. Verserai lacrime da adolescente, disperato.
La signora Silvana, professoressa Silvana o chissà che altro, forte di queste circostanze, si fa beffe del prossimo. Ama gli scherzi crudeli. Più di tutto, ama creare e vedere sbigottimento, paura, terrore.
Il suo pezzo forte, quello che le dà più gusto, è piazzarsi dietro una curva su una strada con poco traffico, quando la luce comincia a calare. Appena sente un’auto arrivare, proprio un attimo prima, con un balzo atterra improvvisa al centro della strada. Negli occhi saettano fuoco e fiamme, la bocca si apre su un ghigno fosforescente, la posa del corpo ricorda certe rappresentazioni medievali del diavolo. 
Mentre lei, con un balzo successivo, si è già dileguata portandosi al sicuro, il guidatore, dopo aver inchiodato disperatamente, cerca invano di scacciare i mostri che si accalcano nei suoi occhi e nella sua mente, il fiatone, il batticuore, il sudore freddo.
Più che uno scherzo, quasi un delitto. Bisognerebbe fare qualcosa. Andrebbe denunciata, ecco. Ma nessuno ci pensa. Tutti sanno, e nessuno osa.
Tutti tornano a quel registro, a quel dito che si è fermato proprio su quel nome, a quella voce che l’ha chiamato, a quell’estate spezzata. Quel quattro in greco fa ancora paura.

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