venerdì 26 aprile 2013

Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 14


Ripropongo un raccontino scritto tempo fa. Oggi mi è capitato di leggere una testimonianza importante e me lo ha fatto tornare alla mente.

Titolo di giornale: Anoressia e bulimia:le malattie più diffuse tra i giovani

ed ecco il mini-racconto inerente:

"Questa volta l'orrore me lo porto appresso", pensava la bimba guardandosi nello specchio. Ricordava di esser diversa, doveva essersi sbagliata. Le sue guance si gonfiavano ogni volta che le osservava, il culo esplodeva ed una certa tendenza bovina le squarciava l'anima. 
L'ultima volta che si era osservata lo aveva fatto in modo semplice: i capelli neri, gli occhi scuri e l'altezza. Cosa era cambiato? Aveva mangiato troppo. E così lo spazio ed i luoghi che prima la abbracciavano ora la contenevano, ne sopportavano il peso e non ne digerivano l'affanno. Ogni angolo era un angolo infetto, un posto dove esistere malamente. Ogni centimetro del suo corpo era sbagliato. Si piegava e sentiva la pelle sfregare  contro altra pelle e le mancava il fiato. Come poteva amarsi? Un mostro. E se non si amava lei, figuriamoci se l'avrebbero desiderata gli altri. Inaccettabile. Era arrivato il momento di riprendere il controllo, di decidere come vivere. Era invasa da una tale sofferenza che non sapeva da che parte iniziare. Era un dolore profondo, un disagio che andava oltre l'apparenza. Cominciò dalle piccole cose, concentrandosi su quel che poteva, come un vecchio saggio. Ricominciare. Così mise in moto il corpo, lo sigillò dentro i confini di una mente solida e dimagrì. Era potente. Era concentrata, ogni pensiero era rivolto a quel territorio isolato, a quel cadavere. L'intelletto, come una sentinella irreprensibile non le permetteva di muoversi da quella zona fatta di regole, rigore e morte. 
Nello specchio c'era sempre lei: grassa, brutta, deforme. 
All’inizio quando nessuno la guardava divorava in fretta merendine, biscotti, carne congelata, sugo, fino a sentirsi piena, fino a sentirsi scoppiare, fino ad andare oltre il limite concesso a qualsiasi creatura. Erano momenti brevi di disperazione e felicità. Poi tutto diventava impossibile.
La sensazione di essere di troppo e troppo, diveniva insopportabile. Le piaceva svuotarsi dai sensi di colpa, svuotarsi dai timori, ficcarsi due dita in gola e non essere altro. Che utopia. Era sempre in gabbia, sempre sotto controllo. Era potente, doveva ricordarlo. Stare da sola.
Una parte di lei amava Giulio, bellissimo Giulio dagli occhi blu ed il profilo impreciso. 
Un'altra parte lo odiava, disprezzava sentire le sue mani tra le pieghe della carne e lo avrebbe ammazzato tutte le volte che le offriva del cibo. Maledetto infermiere. Seduta sul bordo del letto, si perdeva ad osservare il cielo incastrato tra le finestre. Cercava un modo per fuggire, per correre, per scomparire. Ci stava riuscendo. 

La madre, accasciata allo stipite della porta, piangeva la sua bimba tutt’ossa. La vedeva stanca e la luce, bianca, dell'ospedale ne aumentava il pallore. Non c'era giorno che non si disperasse, che non si incolpasse, che non la stringesse per non farla andare via, per sempre. Non ci sarebbe riuscita.

di Manuela Paric'

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