mercoledì 3 aprile 2013

Rubrica: dalla cronaca ai mini racconti 9


Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...

Titolo di giornale::La pena di morte non ammette ripensamenti

Per questo mini racconto, ispirato ad un titolo di cronaca, ho voluto rispolverare uno scritto di quasi 7 anni fa. Ci cade a fagiolo (e le parole non sono scelte a caso!) Mi scuso fin d'ora per la natura scatologica della vicenda.

Il condannato. Ultima ribellione.



- Si alzi.-
Non lo voleva fare.
- Si alzi!- urlò la guardia con voce cattiva.
Indugiò, non lo voleva fare. Non per manifestare qualche sopravvissuto moto rivoluzionario, ma bensì per qualcosa di più creativo, come avrebbero detto i compagni della cella 11: gli scappava da cagare.
- Si alzi! E' ora. - 
La bocca velenosa della guardia si fece lunga come una vipera, una di quelle che ti sbarrano la strada nei pressi del bosco. Una vipera sentinella, la peggior specie.
Provò a muovere appena la natica sinistra, con destrezza contrasse ogni muscolo annesso e creò un sigillo tra lui e il mondo. Era obbligato.
Lo attendeva un corridoio lungo, troppo lungo per le corde del suo intestino, pensò Santiago. Non poteva morire così, annegato nelle feci, senza alcun controllo.
Strinse quindi con maggior fermezza il culo e fece un altro passo.
La guardia, intanto, pensava che erano tutti uguali i criminali: eroi davanti alle loro vittime ed agnelli pasquali, timidi mendicanti di fronte alla loro morte. Sputò per terra, voleva farlo scivolare, metterlo in ginocchio; voleva ridere di Santiago, come se il disgraziato fosse un pagliaccio del circo, con il naso rosso, i pantaloni a righe e l’aria da perdente. 
Il condannato non cadde, era concentrato. Aveva un obiettivo.
Un altro passo.
Il poverino sentiva le vene pulsare con ferocia tra la pancia ed il cuore. E brividi.
“Non tremare, non farlo, mollerai la presa e ti cagherai addosso, sconfitto”, si incoraggiava.
Un altro passo, la sentiva in punta l'umiliazione. Spingeva.
Fremiti.
Ancora 25 passi, che silenzio.
Le domande più sciocche si misero in mezzo ed occuparono i suoi ultimi momenti. Quali erano i misteri dello sfintere, muscolo d'Achille? Come poteva reggere tanto peso? Piegarsi ai bisogni più grandi e chiudersi in se stesso quando la situazione lo richiedeva? Gli piaceva immaginare il suo colon come una rigogliosa fontana azzurra, molto azzurra, di quelle da giardino artificiale. Un colon-fontana percorso da tiepidi ruscelli e coperto dal sole. Invece l'ano no, quello era come uno zio, con i baffi ed impertinente, sempre pronto a contraddirti e a lasciarti nella merda. Lo vedeva.
Quelle fantasie lo stupirono, e sorrise. Uno degli ultimi, aveva valore.
La guardia non ne poteva più, il condannato andava pianissimo, strisciava i piedi, esitava. Era sempre la solita storia con i terminali, gli facevano perdere tempo, il suo tempo, un tempo onesto. Del resto, il loro non c’era più.
- Cazzo avrà poi questo da sorridere...feccia!-, non esitò a dire ad alta voce l’uomo in divisa.
E invece da ridere ce ne era e ce ne sarebbe stato. Passo dopo passo, fino alla chiusura di un nuovo giorno innocente.
Non era una bella immagine: un ambiente spoglio, la luce al neon, un uomo che procedeva verso la morte. Ciononostante c’era del ridicolo, del grottesco. Un avanzare sgraziato che faceva emergere tutta la tragedia che si stava compiendo. Un macaco colpito in giovane età da un colpo apoplettico stava dirigendosi al patibolo. Traballante e su due zampe. Era una di quelle scimmie con il gibbone rosso sul sedere, una escrescenza cancerosa pronta ad esplodere in feci. Non un clown, non un naso.
“Secondo me, mi hanno purgato...”, pensò, “Che bastardi! E' a questo, quindi, che serve l'ultima cena. Scorre meglio l'elettricità se non hai nulla dentro: e muori prima.”  
Era schifato.
“Patè, petto di pollo, risotto al tartufo...dove lo han messo?” 
Una lunga fitta e poi la soluzione: “Era nascosto dal tartufo…vi odio…lassativi sciolti tra gli odori della terra…non c’è più rispetto, non per le radici, non per i morti, non per i vivi. Risparmiatori sadici, giullari della fine...fetidi macellai!”
Tremava, zoppicava, indugiava. Scoreggiava.
L'atmosfera era comunque solenne. Una guardia dall'espressione seria guidava il condannato attraverso lo stretto corridoio. Dalla porta blu a quella nera. In silenzio.
Il condannato, come tale, camminava lento, il viso contratto. Tutta una vita.
Rumori sordi, qualche peto, ancora 15 passi.
E spingeva.
E spingeva, spingeva, spingeva...era una guerra intestina, muovere l'anca più a destra, sollevare di poco il tallone, non pensare.
- Voglio morire da martire! Senza paura, senza cagarmi addosso. Maledetti...lo avete fatto apposta, ma non mi purgherete così dai miei peccati!-
L'unico pensiero che si celava dietro quello sguardo serio e maestoso, trasbordante di eternità, era il controllo muscolare ai fini di una sana ed irraggiungibile stipsi.
E spingeva, contraeva, si piegava, irrigidiva i pugni…sempre più lento.
Dieci passi.
Sulla soglia della porta nera il condannato si presentava con la fronte lucida, sudata ed una espressione intensa. La lotta, la dura lotta, era quasi finita. Che pace. Quali stelle.
L’atteso sollievo.
Arrivò un altro ometto. Un corvaccio nero come le nubi d'inverno, portava sicuramente sfortuna.  Aveva un libro in mano, un composto pallore, il naso adunco ed un’unica domanda:
- Vi è qualcosa che desideri dire figliolo prima che giunga il momento?-
Nessuna replica evidente.
- So che è difficile, ma è un buon momento per espiare i propri peccati nella misericordia del Signore. Vi è dunque qualcosa che desideri dire, figliolo?-
Voleva unicamente una cosa: una latrina, un gabinetto, un pitale, un albero, un angolo buio, una stradina sterrata, un'insalatiera...
- Cosa desideri dire, quindi, figliolo?-
Una sola risposta, rapida, fluida, sincera. Guardava il prete con odio e tormento.
- Non desideri dire nulla, dunque? -, sibilava.
Le labbra appena socchiuse, un gemito, le palpebre che traballano, calore.
Un orgasmo celeste. Il perdono.
Aveva desiderato. Aveva avuto.
Merda. Merda ovunque.
Scendeva da sotto le caviglie, morbida e gommosa, ribelle.
Una sensazione piacevole lo percorse. Tepore. Amore.
- Chissenefrega se morirò tutto cagato!-
La guardia piegò la bocca dal disgusto.
- Lo sapevo che era il più codardo di tutti, spazzatura tra tutti gli uomini spazzatura!-, disse categorico all’uomo di fede. Tutto capitò in fretta.
Il prete, con un balzo da uccellaccio schivò il primo rivolo. Ma venne sopraffatto, tradito dalla tunica, dallo scorrere della seconda ondata, e bagnato e sporco cadde. Supino.
Il condannato rideva. Rideva. Quasi felice. Dimentico.
- Che grande invenzione la merda, la mia!-, l’ultima ribellione.
La guardia si precipitò in soccorso dell'anziano e mai parola fu più giusta. Lo scarpone lucido e nero incontrò sgarbato il pavimento e lo fece cadere, sconfitto, malamente arreso. Il viso imbrattato, il corpo umidiccio. Un ammasso di muscoli accanto ad un ammasso di preghiere.
Il condannato rideva. La bocca aperta, i denti cariati in danza.
Il condannato rideva. Rideva. Ancora.
La porta nera si aprì, due medici dall'aria aggressiva, i guanti bianchi, i calzari antiscivolo, lo trascinarono per il braccino dentro la stanza. Ciechi e muti.
Due giri di nastro isolante, una controllata alla gola.
Corrente.
Pausa.
Corrente.
Un applauso.
In corridoio, una clandestina nera a ripulire.

di Manuela Paric, gennaio 2007

2 commenti:

  1. ahahah è stata una sofferenza, ma il finale è davvero liberatorio! ^_^

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  2. E definitivo ;) ... quando la merda rimane l'unico modo per manifestarsi...è grigia...anzi è marrone!

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