giovedì 21 marzo 2013

Rubrica: dalla cronaca ai mini-racconti 4


Avevamo fatto l'ipotesi di trarre mini-raccontini da fatti di cronaca...

Titolo di giornale: Schiacciato tra due auto

...ed ecco un possibile raccontino a tema...

Era tutta la vita che si allenava, tutta la vita. Immaginava se stesso a due anni, muscolosissimo correre con il girello, sollevare le torri di mattoncini e sfuggire all'occhio severo di sua madre. Quando aveva 10 anni combatteva con i ragazzini più grandi, quelli delle medie e vinceva. "Il piccolo Ercole", così lo chiamavano fuori dagli spogliatoi del centro sportivo. <Piccolo Ercole riesci ad alzare la bicicletta con una mano?...Piccolo Ercole riesci ad aprire la porta con un solo dito? Piccolo Ercole chi vincerebbe tra te ed un robot?>. Gioie tra bambini, sciocche sfide.
Ma l'adolescenza, spesa quasi tutta in riformatorio, lo aveva abituato alle sfide vere, quelle che non conoscono compromessi, quelle che devono essere accettate, quelle che servono.
Il "Macchia", gli procurava i clienti ed i clienti gli procuravano soldi e rogne. Rubavano auto e lo facevano nell'unico modo che Piccolo Ercole conosceva: usando la forza. Sceglievano quelle parcheggiate agli angoli delle vie, arrivavano di notte, uno controllava la strada, abituato a mimetizzarsi tra le ombre nere come un camaleonte corvino; l'altro si sputava sui palmi delle mani, afferrava la carrozzeria e trascinava l'auto su un camioncino. A Piccolo Ercole bollivano le vene ogni volta e di certo ci sarebbe stato qualcuno disposto a pagarlo profumatamente per fargli fare le stesse cose davanti ad una telecamera, ciononostante lui non smetteva, anzi. A lui piaceva essere quello delle imprese impossibili, il super eroe tra i ladri, il gorilla buono tra gli amici.
Quando non faceva tali immani sforzi si godeva la gloria. Insieme a 4,5 perditempo buttava via quel che rimaneva del giorno in una piazzetta sporca di un paesello della provincia, Cavabocconi. Sui gradoni malmessi della chiesa compiva le sue prodezze: chiavi inglesi deformate tra i suoi bicipiti, gomme di camion fatte esplodere con qualche calcio ben piazzato, mattonelle rotte con la testa. <Grande piccolo Ercole...meraviglioso...magnifico piccolo Ercole...solo tu...> Viveva per quei momenti.
Un vago senso di eterno guidava oramai ogni sua decisione e assecondava ogni più ingenuo desiderio. Qualcuno mormorava di aver visto, tatuato sul petto di piccolo Ercole, uno scudo, rosso, infuocato. Stava diventando leggenda e ci sarebbe anche riuscito, se non fosse stato per quella mattina d'ottobre. Era al centro commerciale Bellegioie quando gli venne la grande idea, una idea folle nata tra le barrette energetiche e le proteine in polvere, amava quella roba da veri americani quasi quanto adorava i suoi muscoli. Era arrivato il momento della grande prova, aveva bisogno di rendere omaggio a se stesso: avrebbe fermato, con le sole braccia, due automobili, lanciate verso il suo corpo, senza paura. Una a destra ed una a sinistra, motori infernali potenti ed avidi di offrire un ultimo abbraccio mortale. Ce l'avrebbe fatta, ne era certo, era l'unico a potercela fare. Andarono a vederlo in molti, tutta Cavabocconi, anche i vigili.  Macchia si era offerto come pilota ed aveva anche scommesso un bel gruzzolo su quell'impresa. Il piccolo Ercole era a petto nudo, unto e pettinato sotto un cielo biancastro. Imponeva le mani lungo i fianchi, si sarebbe detto che, mosso dal vento, avesse potuto prendere il volo come quegli uomini in calzamaglia e mantello dei fumetti. Magari avesse potuto. Era morto così, convinto di averle fermate, schiacciato con l'aria di chi ha trionfato, inutilmente. Non per Macchia, certo.

di Manuela Paric'


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